15 Gennaio 2014
Nel giro di qualche anno, Vivian Maier, “la fotografa-bambinaia”, è entrata nell’olimpo della fotografia contemporanea, accanto a nomi come Berenice Abbott o Diane Arbus. Morta in povertà a Chicago, i suoi rullini sono stati acquistati per caso dal filmmaker John Maloof che, per primo, ne ha scoperto l’eccezionalità. Ora, mentre il Jeu de Paume di Parigi le dedica una grande retrospettiva (fino al primo giugno 2014), la casa editrice Powerhouse pubblica Vivian Maier. Self-Portraits, una monografia incentrata sugli autoritratti inediti dell’artista. Qui, la fotografa mette in scena un caleidoscopio di possibilità visive, declinando se stessa in forme sempre nuove. Nell’anno del selfie, le opere di Vivian Maier appaiono come antecedenti illustri del genere. Così, lo specchio del parrucchiere, la vetrina impolverata di un negozio o perfino l’ombra che si riflette sull’erba compiono il tentativo di raccontare questa personalità multiforme, sempre in bilico fra poesia e malinconico stupore.