21 Maggio 2014
Nel mondo del design contemporaneo esiste un paradosso, insensato quanto diffuso, per cui si crede che il design industriale sia esente da riflessioni di tipo concettuale. Come se esistesse uno spartiacque tra il progetto d’idee, realizzato in edizioni limitate, spesso autoprodotte, e quello di prodotto destinato a un mercato reale, dove forma e funzione non entrano in relazione con messaggio e contenuto. Se così fosse – e non è – Konstantin Grcic rappresenterebbe una felice eccezione. La sua deroga alla regola dell’industrial designer da cliché si è più volte manifestata attraverso mostre ed esposizioni di cui è stato ideatore, curatore e allestitore. Questa volta, il suo acume critico e libero da preconcetti si esplicita in una personale al Vitra Design Museum, che Grcic ha curato e allestito direttamente. Una sorta di autobiografia del suo pensiero. Il titolo è programmatico, Panorama, e ci invita a una scoperta per immersione all’interno del suo mondo. Nell’uso antico dei Panorami e Diorami l’impianto scenico serviva a far vivere al pubblico un’emozione davanti a una visione insolita: immagini, luci e a volte addirittura suoni catapultavano lo spettatore in un’altra dimensione (magari montana, pur trovandosi in realtà in un capannone al centro di una caotica metropoli). Grcic propone non tanto una visione nel senso finalistico e causale del termine, quanto una lettura concreta e attuale di quattro scenari dello spazio abitabile: domestico, professionale, pubblico e soggettivo – quest’ultimo, costituito da una mappatura di riferimenti, tributi, disegni e modelli legati al lavoro di Grcic. Su una delle pareti, una frase ci fa da guida: “Ti circondi delle cose che sono importanti per te. Il tuo spazio, i tuoi oggetti: questo è quello che sei”. Lo spazio descritto è sollecitato da continue fluttuazioni: dalla piccola alla grande scala, giocando addirittura con l’invito a guardare come se fossimo un piccolo insetto che esplora luoghi insondati. Ma alla fine, forse, il punto di osservazione più spiazzante non è quello del visitatore, bensì quello delle cose. I nostri oggetti, che, seppur muti e discreti, sono forse gli unici a registrare quello che siamo e diveniamo grazie a loro.